giovedì 17 novembre 2011

Come va? (1997)

Come va?
Ti guardo negli occhi
ti chiedo "come va?"
nell'azzurro mattino due specchi
ti dico "come va?"
ogni giorno ti vesti di sole
sorveglio il tuo sguardo
e non hai parole
nell'apparenza ti muovi leopardo
Riprendi il tuo viaggio
nell'acqua senza nuotare
affogando nel tuo essere selvaggio
pensi, osservi, cosa fare?
qualcosa di te mai vuoi reprimere
che c'è?
non vuoi accedere
Vai via, fuggi nell'ombra
il buio di un destino
caduto nell'oblio, affonda
ti fermi, ti volti persino
i tuoi occhi qualcosa offusca
torni indietro
sulla scia di una mosca
ronzatrice del tetro
per provocazione
il nulla carezzando
forse è solo un'illusione
quello che stai cercando
come va?
mi guardi negli occhi
mi chiedi "come va?"
nell'azzurro mattino due specchi
mi dici "come va?"
ogni giorno mi vesto di sole
sorvegli il mio sguardo
e non ho parole



1997 
a Daniele Silvestri

mercoledì 16 novembre 2011

InUtile


(s)cogli li 
(C.B.)


Lì dove le ciglia sbattono sul rimasto sonno
ho ritagliato la tua fisionomia in due.
Poteva essere un'idea di ritratto copiata a mille fotografi;
un modo originale per ricomporti una volta sognato di nuovo
o l'immagine d'amante reduce di sfogo di rabbia, e strappata.

Lì dove le ciglia si sdraiano sull'occhi senza volersi alzare
vorrei prometterti quel curioso ovvio caffè
mentre son qui che lo vado a preparare per loro, me,
tra i fornelli fermi in cui mi rendo conto
di non averti cucinato bene.

Lì dove i miei occhi sono scogli su cui puoi giusto arrampicare,
increspandosi le ciglia sul loro colore di schiuma
trasformano in onde che vorrei stamani agitare e più ancor più
incredula e incerta di fronte alla sorpresa
del tuo precoce procace ritorno da drammatico film d'amore
cui rispondere con mie parole rancorose e stronze
farcite dei sapori da cui non hai voluto farti accarezzare.

Il mare mosso l'ho rimestato di dentro per sentire il tintinnare dello shacker.
Ed in questo secondo risveglio singhiozzo e non ho pianto.
Nemmanco bevuto.
L'aria non è alla porta
e i tuoi pugni pure non li sento.

C'è modo e modo d'esser violenti.
C'è forma e modo per trovarsi nolenti.
Ci vuol modo e stile a sentirsi dolenti.

(1settembre 2010 ore 9.54)


(Arlecchino - De Gregori)

Il vecchio paragone della rosa - Carlo Molinaro

a H. 

Avevo pensato al vecchio paragone della rosa
ma poi no: tu non è che hai il fiore
e la spina: in te fiore e spina
sono una cosa sola. Bisogna trovare
il fiore nella spina
e la spina nel fiore.

Perché in te è la spina che fa il fiore
restando spina – e il fiore fa la spina
restando fiore. Sei magra come un ragno,
hai labbra grandi come un’africana
e ginocchia spellate.
Degli occhi non so dire:
te li ho guardati, però non so dire.
Preferisco non dire cose a caso.

Come certi animali di boscaglia
gridi però non ti lasci vedere.
Cerchi e non cerchi: non vuoi cacciatori
né giardinieri orgogliosi e premurosi.
Se ti s’aggrotta la voce su una lacrima
agiti tutte le foglie per confondere.
Sei una pianta non classificata.

Sì, ma fuor di metafora sei anche
la bambina che dipinge bottiglie
e manda cartoline a forma di pesce,
innamorata di musicisti e artisti
e a tratti di te stessa (ma non sempre
l’amore è ricambiato): sei la donna
nata lontano, timida nei baci
e nel meravigliarsi – così forse
un poco mi assomigli
e qualcosa capisci e capisco, però
preferisco non dire cose che già sai.

Carlo Molinaro - 2010

LA NAUSEA, IL MAL DI DENTI, ... - Carlo Molinaro

LA NAUSEA, IL MAL DI DENTI, L’AMICIZIA, L’AMORE, IL GOL E LA NAVE CHE VA

Io piuttosto che la nausea preferisco un feroce mal di denti,
un mal di denti da urlare e non dormire, che neanche servono
pastiglie e pastiglione. Però l’indomani vado
dal dentista che in un modo o nell’altro
toglie il male o toglie il dente o l’aggiusta.
Io preferisco i mali localizzati in un punto:
mali onesti, precisi. La nausea invece
non so dove abita, non è in un punto del corpo,
non è neppure tutta nel corpo, è nel corpo
e nella mente e anche fuori, nell’aria, nella stanza,
nella luce intorbidita, nel fastidio che dà un movimento:
e i medici fanno finta di saperne qualcosa
ma non ci azzeccano mai, non hanno niente da togliere
né da aggiustare, fanno ipotesi, ti danno medicine
che non servono a niente. Con il mal di denti
sono riuscito a baciare in un giorno di neve
e a fare l’amore. Con la nausea non riesco
neppure a dire una cosa a un amico.

L’amicizia e l’amore sono una cosa che è bella
(dico «una cosa» e non «due cose» perché spesso non distinguo
amicizia da amore, ci sono sfumature differenti,
certo, ci sono, c’è il sesso, c’è un diverso
modo di abbracciare, ma è un po’ tutto mescolato,
secondo me è un po’ tutto mescolato),
l’amicizia e l’amore sono la cosa più bella, una cosa
che sta all’opposto della nausea, vediamo se riesco a spiegare,
non sta all’opposto del mal di denti,
sta all’opposto della nausea, perché come la nausea
non so dove abita, non è in un punto del corpo,
non è neppure tutta nel corpo, è nel corpo
e nella mente e anche fuori, nell’aria, nella stanza,
nella luce illimpidita, nella gioia che dà un movimento:
e i sapienti fanno finta di saperne qualcosa
ma non ci azzeccano mai.

Helen dice che quei pochi minuti che mi è stata intorno
dovrebbero bastarmi a sapere come sorride.
Le chiederò se lei sa come sorrido io. Io no,
non sono sicuro di sapere come sorride Helen:
i pochi minuti vengono spesso sopravvalutati
e ci facciamo le nostre immaginate – io per primo:
per i pochi minuti che mi è stata intorno Eva
sono convinto di sapere moltissimo di lei:
la sposerei, sulla base di ciò che credo di sapere
per i pochi minuti che mi è stata intorno, Eva.
E lo credo davvero, non c’è niente da fare.
Bisognerebbe invece stare molto attenti
ai pochi minuti, a questo sopravvalutare
la conoscenza di tre sguardi, cinque gesti e quindici parole.
Pensare che nelle vere storie d’amore d’amicizia
si va avanti per anni e si scava uno nell’altro
con affettuosa attenzione, con profondità,
eppure dopo anni si scopre che c’è molto
di sconosciuto ancora – lo notavamo giorni fa
io e una donna che ci amiamo a lungo.

Ma certo è sempre complicato perché
l’amicizia-amore non abita in un punto
(è l’opposto della nausea, non del mal di denti)
e quindi è una cosa che ne vedi delle parti
un po’ dappertutto, magari becchi dell’essenziale
il primo giorno, magari dopo un secolo,
e poi trovi dell’altro essenziale che è più essenziale ancora,
è tutto un andare avanti così.
Helen pensa che io dopo pochi minuti dovrei sapere
come sorride lei, io penso che dopo pochi minuti
so i pensieri più profondi di Eva, come ride e come piange,
io e la donna che a lungo ci amiamo
sappiamo di sapere di noi una parte ma non tutto,
è tutto un sapere o un pensare di sapere,
un andare dappertutto perché l’amicizia-amore
è dappertutto, è l’opposto della nausea,
e infatti quando manca l’amicizia-amore
trionfa la nausea: così almeno accade a me.

Che cosa sia l’opposto del mal di denti
adesso non saprei: forse quelle gioie precise
ma un po’ limitate, molto ben delimitate,
tipo un gol allo stadio della squadra del cuore,
che se uno è un tifoso è un godere, mica no,
ma poi già sul tram verso casa si toglie,
si toglie come un dente. Comunque questo
non ha molta importanza.

Io piuttosto che la nausea preferisco un feroce mal di denti,
ma piuttosto che un gol allo stadio preferisco
il complicato amore che non so dove abita, non so
quanto è dentro e quanto è fuori, dove prende,
che onde fa, come sale e come scende: ma che è così bello
che accetto ogni beccheggio e ogni rollìo nel mentre che
– per concludere con una figata di metafora classica –
passa la nave mia per mare procelloso
compiendo il viaggio suo
breve e meraviglioso.

Carlo Molinaro - 2010

Pronomi Indefiniti - Carlo Molinaro

a H. 

Ti guardavo ieri al concerto di Federico,
le tue braccia sottili,
la dolcezza che in te è una traccia non svolta,
l'amarezza che è una nota a piè di pagina,
le i su cui mettere tutti i puntini,
i puntini con puntiglio, tranne
se lo decidi tu. Sei una frase
che sembra aperta ma rimane in sospeso,
chiude spirali intorno a pronomi
indefiniti.
Così anche le foto, le innumerevoli
foto che scatti a te stessa, sono
dure come un'offerta difficile,
di quelle che le perdi se stai troppo a pensarci.

Carlo Molinaro - 2010

Schiaffeggiami di baci, baby

"T'è rimasto dell'umido agli angoli della bocca"
t'ha detto il mio tono sfuggente.
Non mi hai guardata e,
confrontandoti con le tue buone ragioni,
hai creduto al mio solito delirio. Poi, uscendo, hai guardato lo specchio. Lui era sporco.
Ti sei andato a lavare il viso. Lo specchio è rimasto sporco.
Tu, candido sei ri-uscito, in un modo o nell'altro, a bocca asciutta.
"Io non t'avevo baciato", ho detto appoggiando Malizia
sul ring della mia disarmonia dalle tue occhiaie.
All'angolo i previdenti suggerimenti di utilizzare amore
non più come suggestione.
Sono segnali di attenzione che capitano sugli occhi neanche fossero moscerini alla luce.
Tu hai fatto finta di niente e di nuovo non ho potuto darti torto.
Pizzico le corde del tuo silenzio
e non so mettere le dita sulla tua anima come da accordi.
Non mi laverò nemmeno la testa prima d'un'ora, mi sono detta allora. Bisogna che io rimetta
a scrivere
l'animo abbarbicato sul muretto del mio castello;
il secchiello sentinella già gli dà la spalla.
Mi costruisco tutto da sola e spesso in testa:
non posso asciugarla e prosciugarla insieme, io.
Facciamo come una scena al replay:
io vado indietro coi passi e torno seduta sul materasso,
t'affacci tu in stanza
e mi chiedi qualcosa
senza volere niente di me.
T'avvicini, t'avvicini.
Io ti cingo di braccia la pancia e m'appoggio a riposare la mente svegliata
di poco.
Io che quando apro gli occhi non parlo per 47-48 minuti, tranne che con mia figlia.
Io che sveglio con me l'indigesto imbronciarsi d'ogni mattina
e se vuoi vedermi sorridere in quell'ora devi giocare in totip.
Io ti cingo d'abbraccio e m'appoggio alla tua abbondanza
senza dirti neanche adesso che d'affetto so che me ne trasmetti tanto.
E tu per una volta senza per questo pettinarmi in capo
mi carezzi tutte quelle mie frasi che suonano clacson
tra il mio credere a tutto sgangherata
ed il vagabondare disperatamente attratta da banali presagi di pezzi da ricompormi addosso
trovati per strada, scoperti nelle loro nudità
chè d'arte si deve pur parlare prima o poi.
E di me che ti cingo potrebbero farne gli artisti soli il solito dipinto che non saprei colorare bene.
E di te che mi pettini le idee folli che mi trafficano dentro, sarebbe più fantasioso disegno.
Il diario di viaggio è dentro alla borsa dove mi han cercata altri,
al telefono di mattina può chiamarmi solo Ric,
ma tu sei qui e di leggermi tra le righe non t'importa
e del telefono figurarsi
e d'altra parte io ho finito per pensare di capire
che cercarti dove so esattamente che non ci sei, è poco utile.
Ho dato colazione alle mie aspettative a disarmarmi
con la solita arma avversaria in cuore
e ti ho forse chiesto il primo "per favore"
senza pretendere che fossi tu a sapere
che voglio solo
adesso
qui
che mi schiaffeggi un po' di baci
prima d'andare a lavorare.


(10.21 del 30agosto2010)

Primiera

Non lo sai, ma durerà poco.
Con la noia nelle orecchie non ci riesco a stare.
Ripartirò
anche se non s'è fatto giorno,
piuttosto sola,
con le mie tre valigie di sogni abusati
e un cappello in testa per quando il sole scotta e tocca
rifugiare gli istinti in un boccale di vodka con ghiaccio
per far respirare a dovere l'anima.
Ho intenzione di aprire già gli occhi;
invece sono accartocciati di sonno e di nostalgie sfatte
come lenzuola su cui s'è fatto l'amore,
quelle nostalgie finite delle mie mura ritrovate tutto sommato presto
e delle metodiche c'ho inventato io
e consolidato nel tempo.
Ho smosso i pensieri come fa il mare pettinando i suoi ricci
quando tocca la sabbia umida di fresco
e sembra cattivo solo se lo guardi da distante.
E ho sequestrato la penna all'orgoglio del sapermi fermare
nell'unico modo, poi, in cui sono capace
e t'ho abbracciato stretta per riprendermi un po' tutti gli odori di casa,
compreso il tuo.
Ho lasciato perdere il rubinetto dello stomaco:
sputava sangue e sudore da ricordare per forza.
Avessi fatto in tempo a circondarti per davvero,
prima che decidessi tu di scappare,
forse a quest'ora avrei meno da dire.
Mi sono giocata speranze e sottintesi
in un torneo di scopa che non si decide a concedermi mai la fortuna d'ori e premiere.
Ebbene ora eccomi:
sono scesa dal viale dei pensieri roventi arrovellati fra rovi di
more che non maturano mai.
Ora sono semplicemente a letto nel nostro letto;
sono trascorsi giorni di brezze sottili
che hanno accarezzato solo me come brave braccia di uomini di cui non provi gelosie,
con cui continuerò a tradirti sempre piena di sfacciataggine,
ma sono tornata.
E sono pronta a vivermi tutto il colore di questo cielo terso da appanicarti e
il frusciare continuo e non certo intenso delle auto che scorrono
per arterie senza senso
di sensazioni da rincorrere
come fecero di me i rametti senza pigne
suicidandosi
saltando giù da alberi di lungomare.


(lunedì 30 agosto alle 08h55)

Prendi una stella - Le lettere nascono anche un po' così

Pensavo ti fossi lasciato con lei visto che, ad ogni mio accenno, dicevi che era un tasto dolente parlarne e visto che te l'eri presa quando al tuo 'non è piu tempo di discussioni' avevo risposto 'bene', leggendola in positivo. 
Quando ho saputo che non era cosi m'è preso un mezzo dispiacere, per assurdo, perchè ho capito ulteriormente che eri tornato a pensare a noi proprio solo ed esclusivamente perchè ti manca il sesso con me (per quanto sia portata a pensare che in questo con la tua fidanzata vada bene visto che sei cosi innamorato di lei e che credo il sesso sia una parte importante di un rapporto) e nient'altro. Come sai, ricordo e ho condiviso insieme a te quell'alchimia, ma ho sbagliato sensazioni nell'averci visti entrambi anche in altre cose e questo m'infastidisce. 
Da un diverso punto di vista sono stata ben contenta, invece, del ricevere la conferma che state ancora insieme: sia perchè ho cosi preso coscienza che stai ancora bene con la tipa che ti mancava e ritenevi/ritieni molto importante tanto da essere stato distante dopo che avevi condiviso quel tempo, a marzo, con me; sia perchè per qualche attimo mi è balenato per la testa che l'impressione che ho io, da esterna e sapendone tutto sommato molto poco, del rapporto che vivi, è quella di una specie di bagaglio che non riesci a scrollarti di dosso e che dunque l'idea che ci fossi riuscito mi portava a vederti come una persona più coraggiosa di quella che in alcuni momenti ho visto; sia perchè cosi l'aver dovuto rifiutare le possibilità di rivederci che mi hai proposto ultimamente mi dà la sensazione di non essermi persa 'tutto' quel che magari potevo pensare di essermi persa. 
Nei giorni in cui pensavo ad un nostro eventuale re-incontro e in cui ci siamo risentiti un po' di più ho avuto due sensazioni contrastanti. La prima: che molta della complicità originaria (quella dell'sms da via Caetani e della serata in radio piuttosto che di altre piccole cose "insignificanti" ) fosse sparita. La seconda: un senso di nostalgia verso quelle cose che a mio avviso fanno parte di te che a me piacciono e che un po' sottilmente stavano facendo risentire che in fondo ci sono anche se tu sei concentrato su altro. 
So che queste parole possono essere quasi sicuramente fraintese, interpretate come permeate di qualcosa di diverso da ciò che dà loro vita o possono, più facilmente ancora, passare in mezzo a una nebbia d'indifferenza totale. Te le dico lo stesso non so nemmeno bene perchè. 
Hai significato, pur brevemente, una sfumatura importante per me perchè per qualche frangente mi hai portata a sentire come possibile qualcosa che normalmente la realtà tende a cercare di farmi credere illusorio. Mi hai ricordato il rapporto con una persona che per me è tutt'ora importantissima e che tre anni fa mi sconvolse la vita. Tra noi, in qualche tempo, ho percepito uno scambio di qualcosa di più simile ad un rapporto-come lo intendo io rispetto a quello che vivo, per quanto abbia io sempre scisso il primo dal secondo. Con te ho vissuto dei momenti, alcuni virtuali, altri durante quel tempo insieme, in cui tra noi c'è stata una maturità diversa di fronte alle cose rispetto a quella che sono abituata ad affrontare, una complicità ed un confronto vivi, ch'appassionano, con una persona non per forza simile a me caratterialmente, ma con cui ci si potesse appunto scambiare qualcosa mischiandosi pezzi. E mi è sembrato che di pezzi, di me, non dico ne avessi capiti, ma ne avessi percepiti, sfiorati, te ne fossero arrivati, più d'uno. Ed allora diventa condivisione e senso di rassicurante e rasserenante, perfino felice, comprensione rispetto invece alla compressione che magari pare di vivere in molte altre situazioni di vita; libertà di essere se stessi, insieme. 
Inizialmente potevano essere sensazioni solo superficiali ed appunto virtuali, quando siamo stati più vicino sono state confermate e amplificate e anche per questo il tempo insieme per me è stato bello. Su alcune di queste cose ho cambiato poi abbastanza opinione, quando sei ripartito, un giorno in cui mi hai detto alcune cose o più recentemente, ma un po' questo sentore generale ed in certi aspetti o ricordi molto preciso rimane tutt'oggi a legarmi ancora, talvolta, al tuo pensiero. 
Probabilmente sono cose che vanno vissute così, sul momento, come luci che illuminano un po' la strada e che poi si spengono quando fa giorno, ma rimangono lì, a ricordare, un po' confuse nel resto, che è bello quando riesci a incontrarle e vederle. 
D'altra parte sono romantiche e pericolose insieme anche le stelle e, quando ci punti su gli occhi, come incroci di solitudini sembrano svanire e lampeggiare a seconda dell'attimo e dalla posizione in cui ti metti a sbirciare che fanno. D'altra parte anche le stelle, però, non si possono acchiappare. 
Scusa lo sproloquio, ciao. 

h.n. 
28/7/2010 
12.34

La ragazza della sceneggiatura

Seduta sul divano accanto a me 
mi racconta la sua sceneggiatura 
o la sua vita: è impreciso il confine 
tra sogno memoria invenzione e realtà: 
è tutto vero mentre lo racconta 
e soprattutto 
rimane vero dopo raccontato. 


Le nostre spalle, le nostre braccia distano 
qualche centimetro: se lei s’avvicina 
sento un calore come quando sfiori 
un ferro acceso: avverti il pericolo 
di ustionarti, se il gesto non è attento, 
se non è misurato. E mi accorgo 
che mi allontano, sorprendentemente 
– seppur di poco – mi allontano, mantengo 
quei centimetri, scivolando più in qua. 


È una precisa sensazione fisica: 
non è dentro la testa, è sulla pelle. 


Poi però, mescolando fogli di appunti 
scarabocchiati e disegni e libri aperti, 
le nostre braccia aderiscono così 
come se non avessero voluto 
e non c’è più quel calore violento: 
il contatto non brucia, ma nemmeno 
è tiepido, né freddo – non c’è differenza 
di temperatura percettibile, quasi 
non si sa di toccarsi. 


Allora anch’io le racconto qualcosa 
della mia vita. 

Carlo Molinaro

In ogni caso casa

Solo lui, mamma ed io in casa e papà continuava a pormi domande su mia sorella per sapere con chi fosse uscita quella sera, che posti frequentasse e quali pensieri avesse in testa in quel periodo. Usciva con un ragazzetto conosciuto a scuola, ma a lui non bastava sapere questo. E poi anche di mio fratello voleva che spifferassi ogni cosa, convinto poi che io dovessi sicuramente esserne a conoscenza. 
Mi rifiutavo di dire più di qualche parola di rassicurazione e lui continuava ad insistere. 
Mamma aveva cercato d'intervenire, ma lui proseguiva imperterrito e nemmeno per una reale preoccupazione, ma spinto da quella curiosità morbosa e un po' folle che da qualche tempo gli si era poggiata sugli occhi, nelle mani nervose con cui arrancava nello spiegarsi e sembrava palleggiarsela tra le dita senza sapere che farne egli stesso, nei suoi movimenti mentre passeggiava su e giù per le stanze. 
Non avevamo, lui ed io, un rapporto sereno e di stima da un po' di tempo. 
Prese ad assumere un atteggiamento ruffiano convinto di ottenere di più. 
Cercai sfogo con mamma e lui impedì qualsiasi reale confronto così preso da se stesso e dalle sue manie. 
Obbligò un momento che non volevo vivere in cui dovetti assistere alle sue dichiarazioni d'affetto nelle quali comunque non riuscivo a credere più e faceva come se non se ne rendesse conto. Mi facevano male, lo vide, ma lui aveva deciso che doveva finalmente dirmi i suoi sentimenti e dunque anche che io dovessi aver voglia di starlo a sentire. Iniziai a piangere e gli ripetevo di smetterla, ma pensò educativo e giusto continuare. Mi chiedeva allora se sapevo che mi voleva bene e mentre me lo ripeteva prese pure a poggiarmi qualche carezza crudelmente tenera ed illusoriamente paterna sui capelli. Ad ognuna sentivo un fastidio all'altezza del collo, dietro, sulla nuca e come un senso di solletico ad intensificarsi via via divenendo dolente. 
Aggiunse quindi un suo sfogo, con nello sguardo un'insana allegria mista a delirio e declamò, come motivassero i comportamenti avuti negli anni, che era gay, sì, gay e finalmente poteva confessarlo; che il periodo della P2, delle stragi, del governo Andreotti, non c'eran cazzi, gli era rimasto addosso e aveva determinato pesanti ripercussioni sul suo essere e, ancora, che oggi, invece, i videogiochi gli avevano rivoluzionato la vita e riusciva ad essere se stesso. Ero impressionata e allo stesso tempo impassibile di fronte a quel parossistico vaneggiamento di cui non m'interessava, non vedevo senso e correlazioni, logica. E non percepii nulla di ciò che continuava ad elencare come giustificatorio delle sue assenze e, prima, delle sue ansietà pesanti. 
Casa era quella della mia infanzia ed io nella mia poltrona-letto con alle spalle la finestra aspettavo il rientro dei miei fratelli o un imprevisto qualsiasi che riportassero insieme ad un vago equilibrio anche la serenità cui quel pomeriggio avevo invano ambito.